Arquà Polesine è un centro di origine romana ricco di storia, si trova nel Polesine tra il fiume Po e il fiume Adige.
Gli antichi nomi di Arquà – Arcanda, Arquata, Arquada, Arquatam – derivano dalla forma di una curva “arquata”.

Due sono le ipotesi più attendibili: il De Vit localizza questa curva su una strada romana che attraversa il Polesine; il De Bon parla invece di una grande curva sulla Pestrina. La strada romana avrebbe potuto trovarsi anche sull’argine del fiume, strada qui costruita per ragioni di sicurezza nei confronti di alluvioni ed allagamenti. Questa ipotesi troverebbe conferma nel ritrovamento di materiale archeologico, lapidi in prevalenza.

Risale al 938 è il primo documento che cita Arquà in una donazione alla chiesa di Adria da parte del feudatario Marchese Almerico. Già a quei tempi il centro era importante per la posizione di controllo sulla Pestrina, chiamata pure Fosse Filistine.
Guglielmo III dei Marchesella -signore di Ferrara- vi fece costruire nel 1146 un castello per difendersi dagli Estensi, che già miravano alle terre polesane.
Nel 1187 un figlio di Obizzo d’Este, sposando l’unica figlia ed erede di Adelardo, reggitore di Ferrara, venne in possesso del castello: ebbe così inizio la dominazione estense.

Nel 1308 il castello fu centro della lotta tra due fratelli di casa d’Este che si contendevano il dominio di Ferrara.
Nel 1395 il Marchese Nicolò d’Este cedette il Polesine ai veneziani, in cambio di un prestito 50 mila ducati.
Arquà, passata sotto il nuovo padrone, acquisì importanza strategica data la sua posizione di transito tra Venezia e Ferrara. Il castello rimase nelle mani dai veneziani fino al 1438, anni in cui Venezia lo cedette agli Estensi, per evitare l’alleanza di costoro con il duca di Milano. Ma già nel 1482 i Veneziani si riappropriarono del castello, in seguito alla “guerra del sale”, scoppiata contro gli Estensi.

Il castello fu in seguito comperato dalla nobile famiglia veneta Diedo che lo abbellì con affreschi.
Nel frattempo lavori di bonifica resero il territorio più fertile, si diffuse l’artigianato nel campo della lavorazione della lana e delle spazzole. Il Ponte del Follo e la strada del Follo sembrano proprio riferirsi all’industria del “follar panni”.

Caduta Venezia nel 1797, in seguito all’ invasione napoleonica, Arquà venne spogliata dei beni dei conventi e delle congregazioni religiose. Anche l’Ospedale annesso all’Oratorio di Sant’Antonio che ospitava pellegrini, poveri e malati, passò nelle mani dei francesi.
Nel 1801 il territorio fu per lungo tempo allagato, a seguito delle rotte dell’ Adige e del Po.
Il dominio austriaco, iniziato nel 1815, fu duro per gli arquatesi, sottoposti allo straniero per cinquanta anni.
Dal 1815 al 17 si verificarono anche grandi calamità naturali: carestia, freddo e siccità resero ancora più misere le già miserevoli condizioni della popolazione. Un’altra alluvione colpì la popolazione nel 1823.
Nel 1866, con il passaggio al governo italiano, Arquà divenne Comune e i registri, in origine parrocchiali, passarono al municipio.
il castello Estense, ora sede comunale
Monumento medioevale più rilevante e meglio conservato nel Polesine, il castello di Arquà è sopravvissuto a tutte le fortezze costruite lungo il Canalbianco, che in quel tempo era la via d’accesso principale.
Il complesso si compone di una torre merlata medioevale (suddivisa in tre piani), di un corpo di fabbrica che si apre verso il cortile con tredici arcate seicentesche, dal granaio e dalle scuderie.
Conserva ancora il fossato tutto intorno e per accedervi occorre superare un ponte, non più levatoio, ma sufficiente a richiamare l’originaria sensazione di accesso al castello.

Nel castello di Arquà rivive in una sala, sulle quatto pareti, in un affresco cinquecentesco, il mito di Fetonte, figlio del Sole, che drammaticamente finì la sua vita sulle rive del fiume Po, un tempo Eridano.
Fetonte, auriga inesperto, dopo mille suppliche ottenne dal padre il carro infuocato; con esso si lanciò nel cielo senza poi più riuscire a tenere a freno i focosi destrieri. Salì altissimo, lasciando un segno nella volta azzurra, la Via Lattea. Scese poi altrettanto rapido sulla terra provocando gravi ustioni che diedero origine ai deserti.
Zeus, per scongiurare altre catastofi, colpì con un micidiale fulmine il carro impazzito che cadde lungo la sponda sinistra dell’Eridano dove Fetonte morì. A lungo lo piansero le sorelle, le Eliadi, le quali tanto sostarono nella golena che si trasformarono in pioppi e le gocce dorate delle loro lacrime si trasformarono in ambra. testi e fotografie a cura di

Emanuela Chiarion – assessore alla cultura
Arquà Polesine, febbraio 2008

 

Tratto da: www.magicoveneto.it